L’armata Brancaleone con piccolo elogio alla diversità.

L’armata Brancaleone con piccolo elogio alla diversità.

Vado in moto da sempre. Ho iniziato con il mio babbo e mia mamma, steso sul serbatoio azzurro di una suzuki da enduro. Poi ci fu un XL500 rossa. Poi un’Africa twin, poi un tenerè 600 blu con il faro giallo, alla francese. Come quelle che vincevano nei deserti. Io guido un mono vivace e datato. Un piccione me l’ha cacata e al raduno dei belli in moto mi hanno fatto parcheggiare fuori, perchè non abbastanza vecchia da essere vintage e non abbastanza costosa per essere vetrina. La moto è stata per me capire la visione del mio babbo. Poi è diventata uno dei modi più poetici di godermi la necessaria solitudine, a passo d’uomo per sentire i profumi e gli odori delle mie valli. Le visite al monte sacro per rimettere in ordine le idee.
Anno del Signore 1987. Periodo fine scuola. Luogo: la provincia pesarese. Esterno Montefeltro.

Balduini Matteo. Colui che si era presentato come nostro prof e invece era un ripetente. Anni 16. Sigaro Toscano. No zaino, lui aveva la 24 ore. Cagiva Aletta Rossa con bauletto Givi disegnato da Sperlari. Balduini mi ha insegnato che l’amore (anche quello per la moto) può essere cieco. L’aletta per lui era bellissima. Gran manico. 
Ubaldi Roberto. anni 14. Benellino del nonno, credo. Il pària del gruppo. Basso. Ipovedente e con mezzo da vecchio. Oggi sarebbe stato un figo. Nel gruppo era uno scudiero. Ha sopportato troppe anghèrie da parte nostra. Spero che questo lo abbia reso più saggio di noi. Uba mi ha insegnato la volontà di volerci essere ad ogni costo. 
Gianotti Federico. Anni 16. Detto Fedo. Figlio di Checco, il fabbro. Ripetente. Ancillotti giallo con fiocco rosso antisfiga. Liberi di non crederci, ma l’unica volta che tolse il fiocco, spaccò il filo della frizione in fondo alla strada rossa. Pendenza media 18%. Per tornare lo guidò come un cowboy avrebbe domato un puledro selvatico. Quando partiva, con una prima che lo spingeva via come un dragster, il bomber verde di Fedo si gonfiava come una boa e l’ancillotti detto “motobanana” smitragliava via aria compressa e olio come un’automatica da trincea.
La sensazione era proprio quella che, come i cowboy, Fedo più che dare il gas alla manopola lo tenesse per i maròni quel puledro giallo, che nulla aveva di un enduro moderna. Erano spaventosi. Più Fedo era incazzato (e lo era quasi sempre) più l’ancillotti andava forte. Quando Fedo qualche anno più tardi si spalmò con la sua XT600 su per le Capute, qualcuno giura di aver sentito un ancillotti smitragliare nel bosco.
DeLuca Francesco. L’intellettuale. Quattrocchi. Camicia, pullover e jeans stirati con piega. Figlio del fotografo del paese, quindi: intellettuale. Fifty top rosso nuovo di pacca, appena uscito dalla pubblicità di motosprint. Credo abbia partecipato ad una sola uscita. Poi probabilmente capì da saggio quale era già all’epoca, che non eravamo normali e che la moto fatta in quel modo non era nella sua indole, non ancora almeno. 
Pierleoni Daniele detto Pierle. Figlio di Loris l’autista. Mani potenti. Aprilia 50 enduro. Gomme nuove indurite dalla prolungata esposizione in negozio. Aveva la stessa stabilità di un ubriaco su una lastra di galaverna. A causa di un ritardato rientro a casa (ci fermammo per la sistemazione provvisoria della frizione di Fedo, il fiocco rosso, ricordate?) il padre lo frustò con la cinta sulla schiena. Nessuno ci credette. Quando poi vedemmo il segno della fibbia sulla pelle dovemmo ricrederci. Era successo qualcosa del genere anche quando osò comprare i primi suoi libri da LEGGERE. Quando Pierle divenne più grosso di suo padre tutto filò più liscio in casa, anche se credo che certe ferite non si siano mai rimarginate.
Ragni Ivan. Non aveva il motore per cause di forza maggiore ma era uno di noi e basta. Eterno passeggero dei cavallo-dotati e sella da due (ergo Balduini) non mancava mai, soprattutto alle uscite che includevano la sgarrata tattica, di cui lui era un eminente luminare. Si rifece con il 127 rustica dei suoi. Prima uscita, dentro il fosso. Patacca.

Il sottoscritto. Cobra nero con filetto bronze. Comperato a metà con i miei (ero stato promosso bene) e con il gruzzolo ottenuto con un lavoretto da apprendista. Il Cobra.  Motore morini 4 marce. Comprato in romagna. Il mònito di mio padre sempre appresso: “la prima volta che ti vedo fare una cazzata te lo smonto e ti attacco tutti i pezzi in camera da letto.” Mi accompagnò fedele fino al 125, sopportando gli interminabili tour tra Urbino e Pesaro e l’umidità del lungo foglia d’inverno.
La formazione base era quello delle sgarrate. Di solito, da Urbino si scendeva verso Fermignano, Canavaccio, poi la gola del Furlo, poi più avanti, con le 125, anche sul Pietralata. Cercando di evitare il fratello di Balduini che girava su Nissan Patrol Argento e che ci avrebbe denunciato alle autorità genitoriali.
Quel giorno però l’armata Brancaleone si mosse per il giro del Fiume Foglia, culminato in un tamponamento a catena tra di noi durante l’attraversamento dello stesso. Partenza da Urbino. Alcuni km di asfalto di campagna, poi lo sterrato a rischio pastori abruzzesi e api 50. Poi Il sentiero sterrato preso in allegria dalla carovana. Due curve più avanti: il guado. Dalla terra polverosa al ciotolo bagnato. Rischio massimo: candela a mollo e inzuppo dei vestiti. A tutto gas (per modo di dire) Chi passa per primo si bagna di meno. In assenza di moviola mancano prove certe, ma le autorità competenti decretarono: Andreani passa indenne conoscendo il guado in questione, Aletta rossa si spegne in mezzo al passaggio. Ubaldi + benelli sbatte col polso dx sul cofanetto sperlari dell’aletta, storcendo lo sterzo del benellino (ruota tra le gambe colpo secco e via tutto a posto) dietro Deluca con fifty (che puzzava ancora di concessionaria) tampona il benellino, probabilmente un pressofuso in ghisa che il fifty top già in fase plastica accusa fortemente, data anche la assolutà scarsità di guida del Deluca che era e resta un intellettuale di prima, ma non certo un endurista. Danno non riparabile in loco. Il Fifty top è troppo moderno. (ah! L’elettronica) Il Pierle ok. Ma lui che aveva le gomme enduro con cui riusciva a cadere anche da fermo perchè essendo dure come suole d’anfibio. Fedo effetto Mosè.

Non c’è un epilogo ma certo la giornata rimase epica come solo certe cose fatte da ragazzi possono esserle, un intermezzo alla routine scolastica tra Stand by me e i Goonies. Quelle cose dal valore assoluto. L’armata tornò a casa dividendosi ai vari incroci, con un saluto volante, senza parole, con la certezza che selezione era stata fatta. L’amicizia e i primi sintomi di essere davvero diversi gli uni dagli altri. Il motorino per noi è stato il mezzo con cui abbiamo attraversato l’epoca del passaggio verso l’età adulta, con la certezza che proprio quest’alchimia di diversità ci abbia reso come siamo oggi. Inguaribili romantici.

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